Gestione dei test: strategia, rischi e stime 🧪
Test management: il mestiere (im)possibile 🧑💻
Gestire i test non è solo una questione di processi e documenti: è un’arte di equilibrio tra esigenze di business, qualità, tempi e – diciamolo – una buona dose di diplomazia. Il test manager è il regista silenzioso che orchestra team, strumenti, ambienti e stakeholder, spesso cercando di far quadrare il cerchio tra richieste impossibili e risorse limitate.
Oltre a scrivere il test plan, il test manager deve:
- Definire la test policy (perché testiamo?) e comunicarla in modo che tutti la capiscano (anche chi pensa che i test siano una perdita di tempo)
- Scrivere la test strategy (cosa e come testiamo), adattandola al contesto e alle evoluzioni del progetto
- Avviare, monitorare e adattare il processo di test, risolvendo i problemi prima che diventino emergenze
- Verificare i criteri di uscita e assicurarsi che nessuno “scappi” prima del tempo
- Fare report chiari e utili, non solo per riempire slide ma per guidare le decisioni
- Mediare tra sviluppatori, PM, QA e business, spesso traducendo linguaggi diversi (e umori altalenanti)
- Promuovere la cultura della qualità, anche quando la tentazione è “tanto funziona sul mio PC”
La test policy è la visione d’insieme, la strategy è il piano d’attacco. Senza una, l’altra non serve a molto. E senza un buon test manager, spesso non serve nessuna delle due.
Test plan: se non pianifichi, pianifichi di fallire 📝
Un test plan non è solo un documento da archiviare in fondo a una cartella polverosa. È la bussola che ti evita di naufragare tra bug, deadline e richieste dell’ultimo minuto. Ecco cosa non può mancare:
- Ambito: cosa testiamo (e cosa no)?
- Approccio: come intendiamo testare? Agile, waterfall, freestyle?
- Obiettivi: cosa vogliamo ottenere (oltre a sopravvivere)?
- Rischi e vincoli: budget, tempo, risorse, testabilità…
- Chi fa cosa: ruoli e responsabilità (spoiler: non tutto è colpa del test manager)
- Scheduling: quando si parte e, soprattutto, quando si finisce
- Metriche: come misuriamo il successo (o il disastro)?
- Budget e template: perché Excel non mente mai
Il test planning è un processo continuo: si parte con una bozza, si raccoglie feedback, si aggiorna. E si ripete, finché il prodotto non va in produzione (o il test manager non cambia lavoro). Standard di riferimento? ISO/IEC/IEEE 29119-3 (per chi ama le sigle).
Strategie di test: scegli la tua arma ⚔️
Non esiste una strategia universale, ma almeno sette modi per complicarsi (o semplificarsi) la vita:
- Analitica: test basati sui rischi. Più rischio, più test. Semplice, no?
- Model-based: si parte da un modello (business, stato, affidabilità) e si disegnano i test di conseguenza.
- Metodica: checklist, tassonomie di difetti, standard. Per chi ama le regole.
- Process compliant: si segue uno standard esterno (ISO, settore, processi aziendali). Rigoroso, ma a prova di audit.
- Diretta: si ascoltano gli esperti (anche quelli che non fanno test). Consultivo, ma spesso illuminante.
- Regression averse: si punta tutto su automazione e riuso dei test. Perfetto per chi odia le sorprese.
- Reattiva: si testa mentre si sviluppa, spesso in modalità esplorativa. Per chi ama l’adrenalina.
Entry & exit criteria: quando si inizia e quando si può andare al bar 🚦
Entry criteria: la Definition of Ready
Se non ci sono i prerequisiti, niente test (e niente scuse). Gli entry criteria servono a evitare di partire con i test quando mancano pezzi fondamentali: specifiche incomplete, ambiente non pronto, dati di test assenti, strumenti non configurati. Un buon entry criteria è come il buttafuori all’ingresso: se non hai tutto, non entri.
Esempi pratici di entry criteria:
- Tutti i requisiti sono stati approvati e documentati
- L’ambiente di test è operativo e stabile
- I dati di test sono disponibili e validati
- Le dipendenze tecniche (API, servizi esterni) sono accessibili
Exit criteria: la Definition of Done
Quando tutti i test passano, i bug critici sono chiusi e il PM sorride, si può chiudere (forse). Gli exit criteria servono a evitare di dichiarare “finito” troppo presto: devono essere oggettivi, misurabili e condivisi. Se non sono chiari, il rischio è di restare in test all’infinito (o di andare in produzione con qualche “sorpresa”).
Esempi pratici di exit criteria:
- Tutti i test case previsti sono stati eseguiti
- I bug critici e maggiori sono stati risolti o accettati
- La copertura dei test ha raggiunto la soglia concordata (es. 80%)
- I report di test sono stati condivisi con gli stakeholder
Suggerimento: definisci entry & exit criteria all’inizio del progetto e aggiorna man mano che cambiano le esigenze. Così eviti discussioni infinite e puoi davvero andare al bar senza sensi di colpa.
Analisi dei rischi: il vero sport estremo 🧨
Se pensavi che il bungee jumping fosse rischioso, prova a gestire i rischi in un progetto software! L’analisi dei rischi è il cuore della qualità: serve a prevedere dove (e come) il progetto potrebbe deragliare, e a mettere in campo contromisure prima che sia troppo tardi. Non è solo una formalità: è ciò che distingue un team che “spera vada tutto bene” da uno che sa davvero cosa sta facendo.
Product risk: quando il software fa arrabbiare i clienti 😡
I rischi di prodotto sono quelli che impattano direttamente l’utente finale. Se qualcosa va storto qui, preparati a recensioni infuocate e chiamate di supporto infinite.
- Il software non fa quello che promette (feature mancanti, bug bloccanti)
- Ignora i bisogni reali degli utenti (UX confusa, flussi poco intuitivi)
- Architettura inadeguata, calcoli sbagliati, performance da bradipo, sicurezza trascurata…
Esempi pratici:
- Un e-commerce che non calcola correttamente le spese di spedizione
- Un’app bancaria che mostra saldi errati
- Un gestionale che si blocca con troppi dati
I product risk sono anche detti quality risk: se non li gestisci, la qualità va a farsi benedire.
Project risk: quando il progetto deraglia 🚂
I rischi di progetto sono quelli che minano tempi, costi e qualità complessiva. Qui si gioca la vera partita tra “progetto di successo” e “progetto da incubo”.
- Ritardi, budget che evapora, cambiamenti last minute (il classico “scope creep”)
- Risorse insufficienti, priorità ballerine, comunicazione da incubo
- Ambiente di test non pronto, fornitori che spariscono, strumenti che non funzionano
Esempi pratici:
- Il team di sviluppo cambia a metà progetto
- Il cliente chiede nuove feature a una settimana dal rilascio
- L’ambiente di test è diverso dalla produzione (e i bug emergono solo dopo il deploy)
Gestire i project risk significa anche saper dire “no” (o almeno “non ora”) quando serve.
Come si rimedia?
Il test manager non ha la bacchetta magica, ma può:
- Assumere contractor per colmare i gap temporanei
- Lavorare di notte (ma solo se strettamente necessario…)
- Migliorare le stime e comunicare tempestivamente i rischi
- Gestire i cambiamenti con processi chiari e condivisi
- Promuovere retrospettive e momenti di confronto per imparare dagli errori
La gestione del rischio è un processo continuo: meglio prevenire che curare (e meglio curare che ignorare).
Risk-based testing: la teoria è bella, la pratica meglio 🧮
Il risk-based testing (RBT) è la strategia che mette i rischi al centro delle decisioni di test. Non si tratta solo di “fare più test dove c’è più rischio”, ma di scegliere tecniche, priorità e profondità in base a ciò che davvero può andare storto.
- Impatto: quanto fa male se qualcosa va storto? (scala 1-5, dove 5 è “disastro totale”)
- Probabilità: quanto è probabile che succeda? (scala 1-5, dove 5 è “succede ogni volta che piove”)
- Livello di rischio = impatto x probabilità
Esempio pratico:
Funzione | Impatto | Probabilità | Livello di rischio (I x P) |
---|---|---|---|
Pagamento | 5 | 4 | 20 |
Login | 4 | 3 | 12 |
Notifiche email | 2 | 4 | 8 |
Reportistica | 3 | 2 | 6 |
Il testing è una forma di mitigazione del rischio: meno sorprese, meno notti insonni. E ricordati: la teoria è utile, ma la pratica (e l’esperienza) fanno la differenza.
Tecniche di stima: quanto ci mettiamo davvero? ⏳
Stimare il tempo (e il costo) dei test è un’arte che si affina con l’esperienza, ma qualche trucco del mestiere può aiutare a evitare brutte sorprese e deadline impossibili.
- Scomponi le attività: suddividi il lavoro in task piccoli e chiari (analisi, scrittura casi di test, esecuzione, automazione, reportistica…)
- Usa dati storici: se hai già fatto test simili in passato, parti da lì. Le metriche storiche sono più affidabili delle sensazioni.
- Stima per analogia: confronta il nuovo progetto con altri già affrontati (“quanto ci abbiamo messo l’ultima volta che abbiamo testato un login?”)
- Coinvolgi il team: chiedi a chi dovrà eseguire i test quanto tempo serve davvero. L’expert judgement è spesso più preciso di mille fogli Excel.
- Aggiungi un margine: imprevisti e bug sono sempre dietro l’angolo. Un buffer del 10-20% può salvare la reputazione (e il weekend).
- Aggiorna le stime: man mano che il progetto evolve, aggiorna le stime. Meglio correggere la rotta che andare dritti contro l’iceberg.
Esempio pratico di stima:
Attività | Stima (giorni) |
---|---|
Analisi requisiti | 2 |
Scrittura casi di test | 3 |
Esecuzione test manuali | 4 |
Automazione test | 5 |
Reportistica | 1 |
Totale | 15 |
Ricorda: la stima perfetta non esiste, ma una stima ragionata (e aggiornata) è meglio di una promessa fatta a caso.
In sintesi
La gestione dei test non è solo burocrazia, ma l’arte di prevenire disastri, ottimizzare risorse e – perché no – rendere la vita un po’ più semplice a tutti. E ricordati: chi non pianifica, pianifica di fallire. 😉